Materiale Informativo – Comitati noiNO https://noino.eu Non fare mancare il Tuo sostegno in difesa della Costituzione e della democrazia rappresentativa Fri, 18 Sep 2020 09:18:12 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.5.1 https://noino.eu/wp-content/uploads/2020/01/cropped-logo-noino-512x512-1-32x32.png Materiale Informativo – Comitati noiNO https://noino.eu 32 32 Referendum, il fronte del No ha già vinto. L’avv. Pruiti Ciarello spiega perché https://noino.eu/2020/09/18/referendum-il-fronte-del-no-ha-gia-vinto-lavv-pruiti-ciarello-spiega-perche/ Fri, 18 Sep 2020 08:38:10 +0000 https://noino.eu/?p=545 Il fronte del No è animato dal cuore di chi, dopo una lunga corsa, spende le ultime energie in vista del traguardo. Indipendentemente dal risultato finale, questa condizione rappresenta già una vittoria ed è fonte di soddisfazione per chi, nella battaglia a difesa della Costituzione, ci ha creduto fin dall’inizio. L’intervento di Andrea Pruiti Ciarello,… Leggi tutto »Referendum, il fronte del No ha già vinto. L’avv. Pruiti Ciarello spiega perché

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Il fronte del No è animato dal cuore di chi, dopo una lunga corsa, spende le ultime energie in vista del traguardo. Indipendentemente dal risultato finale, questa condizione rappresenta già una vittoria ed è fonte di soddisfazione per chi, nella battaglia a difesa della Costituzione, ci ha creduto fin dall’inizio. L’intervento di Andrea Pruiti Ciarello, coordinatore nazionale dei Comitati noi No e membro del CdA Fondazione Luigi Einaudi

Quando nei primi giorni di ottobre 2019, come Fondazione Luigi Einaudi, lanciammo la proposta di chiedere l’indizione del referendum costituzionale sulla legge cd. Taglia parlamentari, ricevemmo da parte di tutti sorrisetti e sfottò. Dicevano che non saremmo mai riusciti a mettere insieme le firme necessaria per chiedere l’indizione del referendum popolare e avevano ragione, riuscire a raccogliere 500.000 firme in tre mesi è impresa impossibile per qualunque organizzazione politica, figuriamoci per una fondazione culturale, impegnata con esiguità di risorse a diffondere la cultura liberale in questa nostra nazione, sferzata dai peggiori venti demagogici e populisti. Roba da dinosauri si direbbe!

Abbiamo pensato, però, che l’amplissima maggioranza che si era coagulata attorno a questa proposta di riforma costituzionale nella quarta e definitiva votazione alla Camera dei Deputati, rappresentava una colpa da lavare con uno slancio libertario da parte dei rappresentanti del popolo, che a nostro avviso erano rimasti vittima di quella retorica populista che aveva avvelenato i pozzi della politica italiana da qualche decennio. Una furia iconoclasta e autolesionista, inspiegabile con la ragione e forse sintomo clinico di un parlamento che non funziona più.

Fu così che lanciammo l’iniziativa della raccolta delle firme nelle due camere, con l’obiettivo di raggiungere la soglia di un quinto dei componenti di almeno una delle due camere, per dare ai cittadini italiani la possibilità di dire la loro su una riforma che non riguarda i parlamentari, né i loro “privilegi”, ma riguarda solo la compressione del diritto di rappresentanza politica dei cittadini. Ad Andrea CanginiNazario Pagano e Tommaso Nannicini va ascritto il merito di avere subito sposato la causa e di non avere risparmiato energie nella ricerca di nuovi sottoscrittori. Ci ritrovammo, dopo qualche settimana a veleggiare intorno a 50 adesioni da parte dei senatori di diversi schieramenti, provenienti principalmente da Forza Italia. I sorrisi e gli sfottò cessarono e ci cominciarono a guardare con sospetto e anche con un po’ di timore. Alla vigilia della scadenza del termine (tre mesi dalla pubblicazione della Legge Costituzionale), avevamo ben 69 firme di senatori sulla richiesta di indizione del referendum, sembrava fatta, tra queste si annoverano stranamente anche cinque firme di senatori del gruppo del movimento cinquestelle. Firme che avevano creato qualche perplessità fin dall’inizio e che furono ritirate a poche ore dalla scadenza del termine di deposito dell’istanza. Certo è legittimo il diritto di ripensarci, però ai malpensanti è sembrato davvero un tentativo di sabotaggio. Grazie alla sottoscrizione, in zona Cesarini, di sette senatori della Lega, raggiungemmo il numero di 71 firme, che garantirono la validazione dell’istanza da parte dell’Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione.

All’inizio della campagna referendaria, prima dell’era Covid, i sondaggisti ci guardavano con aria di sufficienza, il NO era dato al 2% contro il SI al 98%, dicevano che il referendum sarebbe stato solo una perdita di tempo e politicamente avrebbe rafforzato i cinquestelle con un plebiscito senza precedenti. Abbiamo risposto che sulla restrizione dei diritti di rappresentanza dei cittadini potevano e dovevano pronunciarsi gli stessi cittadini. Il referendum era una battaglia eticamente giusta, che meritava essere combattuta, indipendentemente dal risultato. Si, in Italia c’è ancora qualcuno che crede che sia giusto spendersi in una battaglia di principio, al di là della convenienza, al di là del risultato.

Senza scomodare il bushido, l’etica del samurai, se ci sono battaglie sempre giuste, sono quelle a difesa dei diritti, a difesa del valore del voto, a difesa del parlamentarismo, contro una visione demagogica e populista della politica, che parla solo alla pancia delle persone, pensando che siano prive di intelligenza. Noi abbiamo creduto e crediamo che invece la gente è dotata di cervello e, nonostante il mal di pancia, nel baratto tra perdita di rappresentanza politica e prendere un caffè in più all’anno, sia pronta a rinunciare al caffè.

A poche ore dalla celebrazione del referendum, il risultato referendario è contendibile! Il fronte del SI non è certo di farcela e il fronte del NO è animato dal cuore di chi, dopo una lunga corsa, spende le ultime energie in vista del traguardo finale.

Indipendentemente dal risultato finale, questa condizione rappresenta già una vittoria ed è fonte di soddisfazione per chi, nella battaglia a difesa della Costituzione, ci ha creduto fin dall’inizio.

Una cosa è certa, l’Italia ha bisogno di riforme, serve superare il bicameralismo perfetto, serve rilanciare il mercato del lavoro, partendo dalla semplificazione burocratica e dalla riduzione del cuneo fiscale, serve riallacciare le fila del rapporto tra politica e cittadini, magari con la reintroduzione delle preferenze nella legge elettorale. Questo parlamento saprà andare in questa direzione?

formiche.net

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Referendum. Votare NO è rivoluzionario. https://noino.eu/2020/09/03/referendum-votare-no-e-rivoluzionario/ Thu, 03 Sep 2020 09:43:27 +0000 https://noino.eu/?p=535 Il 20 e 21 settembre saremo chiamati come cittadini a esprimere la nostra opinione sulla riforma costituzionale che riduce sensibilmente l’attuale numero dei parlamentari. Gli argomenti logici e giuridici che mi spingono con convinzione non solo a votare NO, ma anche a impegnarmi affinché altri votino NO, sono molti e sono stati spiegati in modo… Leggi tutto »Referendum. Votare NO è rivoluzionario.

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Il 20 e 21 settembre saremo chiamati come cittadini a esprimere la nostra opinione sulla riforma costituzionale che riduce sensibilmente l’attuale numero dei parlamentari.

Gli argomenti logici e giuridici che mi spingono con convinzione non solo a votare NO, ma anche a impegnarmi affinché altri votino NO, sono molti e sono stati spiegati in modo mirabile nel manifesto dei costituzionalisti italiani, negli interventi della Fondazione Einaudi e nelle innumerevoli riflessioni dei parlamentari appartenenti ai pochi partiti impegnati per il NO e degli intellettuali indipendenti, parlamentari e non, che hanno scelto di non aderire, su un tema così sensibile , alle indicazioni del proprio partito.

C’è anche un importante argomento territoriale, ben illustrato dal “Gruppo dei Giuristi siciliani per il NO”, relativo alla penalizzazione della rappresentanza parlamentare dell’intero sud in generale e delle piccole città, come la mia Siracusa, in particolare.

Ma c’è anche, sullo sfondo del referendum, un formidabile argomento politico, molto distante dalle vulgate che percorrono media e social network: il NO dei cittadini alla riforma voluta dai partiti è la condanna più vera e più netta dell’attuale basso profilo della politica.

Sconfiggere il qualunquismo antipolitico attraverso il voto, l’arma più nobile in mano al cittadino, è, quindi, la possibile rivoluzione gentile che tanti sperano.

Tale conclusione, che può apparire ardita, ha una spiegazione assai semplice.

Al taglio lineare della rappresentanza parlamentare, elaborato e fortemente voluto come elemento caratterizzante della propria azione politica dal Movimento 5 Stelle, hanno aderito, e lo hanno anche nel tempo votato, tutti i maggiori partiti politici tradizionali, dalla Lega a Fratelli d’Italia, da Forza Italia al Partito Democratico.

Non è certamente un caso: all’indomani della riduzione del numero dei parlamentari a comandare saranno sempre e maggiormente le segreterie dei partiti.

Già questa inusuale compattezza tra acerrimi nemici/amici dovrebbe insospettirci, anche se è vero che, fuori dalle cabine di comando, molti parlamentari non sono, giustamente, affatto convinti della scelta dei loro capi.

Ma, soprattutto, i partiti che sostengono oggi il SI alla riforma, quando non sacrificano banalmente le proprie idee all’esigenza di poltrone ministeriali, sono profondamente convinti che così facendo appaiono alfieri dell’antipolitica, l’unica arma elettorale che ritengono vincente.

Tralasciando la semplice constatazione che si tratta di gente seduta, oggi o sino a ieri, sulla comoda poltrona di ministro che continua incredibilmente a mandare messaggi di odio e disistima dei politici, cioè di sé stessi, pensando così di distinguersi dagli altri (ma verrebbe da chiedersi “altri chi ?” se oggi si trovano tutti dalla stessa parte), essi non sembrano avvertire la capacità offensiva verso l’elettorato di questo inseguimento ad ogni costo del qualunquismo.

Essi si rivolgono alla pancia dei cittadini, sul presupposto che gli stessi non abbiano un cervello.

Il risparmio di un caffè al giorno o il “se non passa il referendum le cose non cambieranno mai” sono messaggi che certamente arrivano, ma si fermano alla pancia, il cervello non lo raggiungono.

Se oggi potessimo avere di nuovo nelle istituzioni persone del livello morale e culturale di coloro che hanno scritto la Costituzione saremmo ben lieti di pagarli anche il doppio rispetto a quanto percepito dagli attuali parlamentari mentre guardiamo con timore alla diffusa e sgradita incompetenza e all’enfatizzato e fastidioso qualunquismo di chi pretende di intervenire, per ragioni di convenienza elettorale o di conservazione della poltrona di governo, sui delicati meccanismi di democrazia e di rappresentanza scritti nella nostra Costituzione con fatica, passione e competenza da tante persone esperte, culturalmente attrezzate e moralmente ineccepibili, il cui solo nome dovrebbe generare immediata deferenza.

I partiti politici hanno proposto e votato questa riforma, emblema del qualunquismo, e rincorrono, contendendoselo, il consenso di tutte le pance alle quali si sono rivolte.

Io spero che nelle urne si trovi invece il voto di chi per ragionare abitualmente usa il cervello perché quel voto avrà un unico significato: un avviso di sfratto all’incompetenza e al qualunquismo del quale i partiti politici oggi sono collettivamente portatori (non asintomatici) e fruitori.

A tutti coloro che ritengono di ottenere voti parlando alla pancia dell’elettorato, un elettore che usa il cervello, di qualunque parte politica, dovrebbe risponde con chiarezza e nettezza: “NO, ti sbagli. Tu vedi solo elettori dotati di pancia e pensi di essere furbo parlando a quelle pance per mantenere il tuo potere. Ma, al contrario, sei proprio tu che ragioni con la pancia mentre io uso il cervello e il tuo messaggio non solo non mi arriva ma mi infastidisce, quando addirittura non mi offende”.

Non abbiamo nessun motivo e nessun bisogno di abolire o mortificare le istituzioni per punire chi oggi le occupa, né di ridurre gli spazi di libertà e di rappresentanza.

Non esiste oggi il problema della quantità dei parlamentari, ma quello della loro qualità.

La logica ci insegna che 600 asini non faranno certo meglio di 945 asini. Il problema non è il numero dei parlamentari ma è la loro scadente qualità culturale e, a volte, morale. E c’è anzi il rischio, concreto, che ad essere eliminati saranno proprio i 345 meno asini e meno pronti a obbedire sempre ai propri capi.

Il NO al referendum può diventare, quindi, anche il No al qualunquismo. Il NO alla proposta di riforma della Costituzione è un NO al modo in cui oggi i partiti intendono la politica, un NO alla loro corsa a soffocare il ragionamento per stimolare il risentimento, un NO che faccia loro comprendere che devono tornare a parlare al nostro cervello e non alla nostra pancia, a coinvolgerci nelle scelte, a trattarci da cittadini e non da sudditi o, peggio, da greggi da condurre al (loro) pascolo.

Il NO è rivoluzionario, nel senso che pretende il cambiamento; il SI è reazionario, si accontenta di conservare e consolidare l’esistente.

E di una rivoluzione, gentile e non violenta, abbiamo proprio bisogno.

Ezechia Paolo Reale

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Ecco il taglio, Regione per Regione https://noino.eu/2020/02/10/ecco-il-taglio-regione-per-regione/ https://noino.eu/2020/02/10/ecco-il-taglio-regione-per-regione/#respond Sun, 09 Feb 2020 23:31:25 +0000 https://noino.eu/?p=434 REGIONI ITALIANE ESTERO

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REGIONI ITALIANE

ESTERO

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Ripensiamoci https://noino.eu/2020/01/29/ripensiamoci/ https://noino.eu/2020/01/29/ripensiamoci/#respond Wed, 29 Jan 2020 14:26:26 +0000 https://noino.eu/?p=419 Mentre tutti sono ‘distratti” dall’argomento autonomia regionale, sta passando la “vera” riforma, che rivoluzionerà la rappresentanza nella vita democratica di tutti. Mi riferisco alla sbandierata riduzione del parlamentari, fatta passare come un risparmio di soldi e una riduzione di poltrone, niente di più falso, l’unica cosa che diminuirà sarà la rappresentanza, visto che la riduzione… Leggi tutto »Ripensiamoci

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Mentre tutti sono ‘distratti” dall’argomento autonomia regionale, sta passando la “vera” riforma, che rivoluzionerà la rappresentanza nella vita democratica di tutti. Mi riferisco alla sbandierata riduzione del parlamentari, fatta passare come un risparmio di soldi e una riduzione di poltrone, niente di più falso, l’unica cosa che diminuirà sarà la rappresentanza, visto che la riduzione sarà del 36,5% ed i collegi elettorali aumenteranno come grandezza, lasciando solo a pochissimi la possibilità di fare la campagna elettorale. E nello stesso tempo, i partiti di ‘fatto’ sceglieranno chi fare eleggere, soprattutto nella parte proporzionale con i listini corti. La costituzione per garantire la rappresentanza poneva che ogni regione non poteva non avere meno di 7 senatori (tranne la Valle d’Aosta uno ed il Molise due), con la nuova legge si ridurrebbero a 3, meno della metà. Bisogna stare attenti perché manca ancora l’ultimo passaggio alla Camera dei deputati, affinché la riforma passi, sostenuta dall’opinione pubblica. Le disposizioni per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali, indipendentemente dal numero dei parlamentari, sono già state pubblicate nella Gazzetta ufficiale n° 135, anno 160 dell’undici giugno 2019. La Calabria passerebbe da 20 deputati a 13 e da 10 senatori a 7, considerando che ci sono 5 provincie e 404 comuni, si nota subito che la rappresentanza soprattutto per le aree Interne diventa un’utopia. La Basilicata passerebbe da 6 deputati a 4 e da 7 senatori a 3. Ho fatto questi due esempi per dimostrare quello che di fatto si creerebbe, le regioni del nord Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte nell’insieme molto rappresentate, il centro con Toscana, Lazio, Umbria, Abruzzo, Molise molto considerato, le regioni a statuto speciale Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Sicilia, Sardegna, molto tutelate, la Campania e la Puglia molto popolose, quindi da considerare.

Cosa rimane? Basilicata e Calabria. Riflettiamo bene su quello che si sta facendo, la partecipazione alla vita politica di un Paese non può essere una questione economica. Già adesso, senza le preferenze, i cittadini scelgono ben poco, sono i partiti che scelgono la maggior parte di chi deve essere eletto, candidando questo o quello, In collegi più sicuri di altri, sempre con il paracadute del listino pronto. Ecco in questo contesto l’indicazione del presidente Conte, sicuramente legittima perché ha ricevuto la fiducia del Parlamento, pone una domanda, da quante persone dei partiti di governo è stata decisa? Finora i presidenti del consiglio non eletti sono stati Ciampi (governatore Banca d’Italia), Dini (direttore Banca d’Italia), Amato (già capo di governo in precedenza), Monti (nominato senatore a vita), Renzi (primarie PD), ognuno faccia le proprie libere riflessioni.

Bisogna aggiungere che nell’ultima votazione alla Camera anche il PD ha votato a favore, creando di fatto una situazione paradossale. Tranne 14 parlamentari, Lega, 5stelle, Forza Italia, Fratelli d’Italia hanno continuato nel percorso intrapreso nell’ultima votazione e, grazie al cambio di maggioranza, anche il PD si è detto favorevole nono-stante nelle precedenti votazioni fosse stato contrario. Questo crea molteplici difficoltà per lo svolgimento del referendum confermativo, se a tutto ciò si aggiunge la discussione sul vincolo di mandato veramente si vuole che pochissime persone decidano per tutti.

Un’ultima riflessione economica, la democrazia costa e senza finanziamenti pubblici i soldi li danno i privati o le grandi imprese con ulteriore riduzione di rappresentanza sia in termini territoriali sia di categorie o fasce sociali.

Ripensiamoci!

Enzo Capolupo

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La frittata è fatta! https://noino.eu/2020/01/29/la-frittata-e-fatta/ https://noino.eu/2020/01/29/la-frittata-e-fatta/#respond Wed, 29 Jan 2020 14:18:35 +0000 https://noino.eu/?p=420 Sulla Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre è stato pubblicato il testo del ddl costituzionale che intende modificare gli artt. 56, 57 e 59 Cost, riducendo il numero dei Deputati da 630 a 315 e quello dei Senatori eletti da 315 a 200. Essendo stato approvato senza avere raggiunto la maggioranza dei due terzi… Leggi tutto »La frittata è fatta!

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Sulla Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre è stato pubblicato il testo del ddl costituzionale che intende modificare gli artt. 56, 57 e 59 Cost, riducendo il numero dei Deputati da 630 a 315 e quello dei Senatori eletti da 315 a 200.

Essendo stato approvato senza avere raggiunto la maggioranza dei due terzi nella seconda lettura al Senato, la pubblicazione è stata preceduta dalla tradizionale avvertenza, secondo cui “Entro tre mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del testo seguente, un quinto dei membri di una Camera, o cinquecentomila elettori, o cinque Consigli regionali possono domandare che si proceda al referendum popolare”.

Toccherà ora ai cittadini, sollecitati dal Partito Radicale che si propone di raccoglierne 500.000 firme, ovvero a un quinto dei Deputati o dei Senatori, a loro volta sollecitati dalla Fondazione Einaudi, di proporre un referendum oppositivo, per sottoporre la riforma al voto popolare, sfidando la vulgata anticasta diffusasi nel Paese a partire da quello sciagurato libro del 2007, del quale i loro autori farebbero bene ad andare tutt’altro che fieri, visti gli effetti che ha prodotto sul sistema politico.

Se oggi qualcuno osa sfidare l’impopolarità in difesa della democrazia liberale, non c’è che da rallegrarsene.

E tuttavia, siccome il mantra ricorrente è quello secondo cui i nostri parlamentari sarebbero troppi in rapporto alla popolazione, forse non guasta dare qualche sguardo agli altri paesi europei, ma anche alla nostra storia.

nonmollarequindicinale post-azionista | 001 | 19 giugno 2017

L’Ufficio Studi del Senato, in un suo recente dossier, avendo limitato la comparazione alle sole c. d. camere basse (posto che le c. d. camere alte, come il nostro Senato, hanno diversissime modalità di elezione), ha calcolato che, quanto al rapporto tra deputati e popolazione, l’Italia si colloca attualmente al 23° posto (con un deputato ogni 96.006 abitanti), e che solo in 5 paesi il rapporto è più alto del nostro, come accade in Spagna (1 deputato ogni 133.312 abitanti), in Germania (ogni 116.855 abitanti), in Francia (ogni 116.103), nei Paesi Bassi (ogni 114.121), nel Regno Unito (un deputato ogni 101.905).

Se la riduzione dei parlamentari italiani diverrà legge costituzionale, l’Italia conquisterà la maglia nera nella graduatoria della rappresentatività (I deputato ogni 151.210 abitanti).

Se poi guardiamo al nostro passato, rammentiamo che nel Regno d’Italia la Camera dei Deputati (il Senato era di nomina regia, ancorché su suggerimento governativo) è stata nel tempo composta in misura variabile, man mano che si estendeva il suffragio popolare: si è così passati dai 443 deputati nel periodo 1861-1867 (quando gli elettori era appena l’1,9 per cento della popolazione e i voti validi furono 170.567), a 493 nel periodo dal 1867 al 1870, poi a 508 dal 1870 al 1921 e infine a 535 dal 1921 e sino alle elezioni del 1924, in cui la popolazione residente era di 39.943.528, con un rapporto di 1 deputato ogni 74.760 abitanti.

Dove si vede che il rapporto di oggi è tutt’altro che eccessivo, sia rispetto al resto d’Europa, sia rispetto alla nostra anche lontana storia.

Ci pensò poi il Fascismo, ormai divenuto regime, a ridurre i deputati a 400 con la Legge 1019 del 1928, che venne applicata per la prima volta nelle elezioni del 1929, portando il rapporto a 1 deputato ogni 99.858 abitanti, più o meno quello di oggi quando i deputati sono (ancora) 630, mentre, con la riduzione a 400, il rapporto diverrà di 1 deputato ogni 151.2010 abitanti, facendo, almeno sotto questo aspetto, ben peggio della fascistissima legge elettorale del 1928.

Che, tanto per rinfrescare la memoria di chi l’ha persa o non l’ha mai avuta, prevedeva tra l’altro un collegio unico nazionale in cui, esprimendosi con un SI o con NO, gli elettori erano chiamati a approvare o respingere tutta la lista dei 400 candidati proposti dal Gran Consiglio del Fascismo, l’unico ammesso alla competizione elettorale; anche se il regime, bontà sua, aveva previsto che, nell’impossibile ipotesi di prevalenza dei NO, le elezioni si sarebbero ripetute con la presentazione di altre liste concorrenti presentate da inesistenti organizzazioni autonome, e in tale secondo ipotetico turno la lista che avesse preso anche solo un voto in più avrebbe visto eletti tutti i 400 candidati.

Pur consapevoli dell’assoluta diversità dell’attuale contesto politico ancora pluralista, e pensando alle liste elettorali rigide e alle ipotesi di ballottaggio inventate nella nostra seconda Repubblica, a qualcuno dovrebbero cominciare a fischiare le orecchie.

Per la verità, sia nella prima, sia nella seconda Repubblica, a ridurre il numero dei parlamentari ci han provato un po’ tutti.

A proporre la riduzione fu per prima la Commissione insediata nel corso della IX legislatura e presieduta dal liberale Bozzi, che tuttavia, se approvata, avrebbe introdotto dei parametri rapportati alla popolazione (1 deputato ogni 110.000 abitanti o frazione superiore a 55.000; un senatore ogni 200.000 abitanti o frazione superiore a 100.000), cosicché, sulla base della popolazione di allora (56.556.911), il plenum della Camera sarebbe stato di 514 deputati e quello elettivo del Senato di 282 senatori, mentre, con la popolazione di oggi (59.433.744), i deputati sarebbero stati 544 e i senatori 297, con una composizione non molto dissimile da quella attuale.

Una riduzione analoga a quella di oggi (400 deputati, 200 senatori) venne poi proposta dalla Commissione D’Alema nella XIII Legislatura, e può sembrare paradossale che proprio a quella proposta patrocinata si siano ispirati gli attuali riformatori, che pure lo hanno in grande antipatia.

Ci hanno poi provato i c. d. saggi di Lorenzago nella XIV legislatura (518 deputati, 252 senatori), il presidente della Commissione Affari Costituzionali Violante nella XV (512 deputati e 186 senatori, ma eletti in secondo grado), e poi la Commissione Affari Costituzionali del Senato nella XVI Legislatura (508 deputati, 250 senatori), e infine la riforma Renzi-Boschi della scorsa Legislatura, che, fermi restando i 630 deputati, aveva ipotizzato un Senato di 95 membri, tuttavia scelti con elezioni di secondo grado da regioni ed enti locali.

Insomma, ci hanno più volte provato anche gli aspiranti costituenti della prima e della seconda Repubblica, cercando ogni volta di lisciare per il suo verso il pelo ruvido del populismo e la sua viscerale avversione per la complessità della politica, che riaffiora, come un fiume carsico, ogni volta che compare sulla scena il demagogo di turno con la sua ricetta salvifica dell’uomo solo al comando, o almeno del presidenzialismo in salsa USA o francese, quando invece chi ha un po’ di sale in zucca sa bene che, con l’abitudine italica a correre in soccorso del vincitore (Francia o Spagna, purché se magna), il nostro presidenzialismo finirebbe per somigliare assai più a quello russo, turco o sudamericano.

E tuttavia, tra le proposte riformatrici del passato e quella di oggi c’è un abisso, dovuto al fatto che le prime s’inserivano in un complessivo disegno riformatore dello Stato (condivisibile o meno che fosse), mentre quella di oggi pretende di imporre un taglio lineare che prescinde dalle ricadute sulla struttura istituzionale del Paese, a partire dagli stessi lavori parlamentari.

Se poi c’è una cosa assolutamente vergognosa è la rivendicazione della riforma come riduzione dei costi della politica.

Un’affermazione, questa, che, di per sé, è insieme risibile e pericolosa: risibile, perché il vero risparmio annuo non è di cento milioni, come vanno sbandierando ai quattro venti i suoi sostenitori, ma di 81,6 milioni al lordo delle imposte che ritornano all’Erario, e quindi meno di 60 milioni, in pratica lo 0,007 della spesa pubblica, secondo i calcoli dell’Osservatorio di Cottarelli, e circa 1 euro l’anno per ciascun italiano, anche quelli in fasce; pericolosa, perché induce nell’opinione pubblica la convinzione che il Parlamento è, esso stesso, luogo di sprechi che possono essere eliminati fino a poterne fare a meno, avviando il dibattito su di un piano inclinato al termine del quale c’è la fine della democrazia liberale.

La verità è che la riduzione dei parlamentari non produce riduzione dei costi, ma degli spazi di democrazia per milioni di cittadini, in parte conniventi, in parte inconsapevoli.

Capisco che questa riduzione l’abbiano voluta i parlamentari del M5Stelle, il cui miraggio è la democrazia diretta; capisco che l’abbia voluta Salvini, cui piacerebbe che ci fosse un uomo solo al comando (ovviamente, lui stesso), magari con pieni poteri; capisco che l’abbia gradita Meloni, memore della fascistissima legge del 1928; e capisco (anche se assai meno) che l’abbia accettata Berlusconi, che già in passato aveva sostenuto che bastasse far votare in Parlamento solo i capigruppo, con un peso proporzionale ai rispettivi parlamentari, quasi una riunione di condominio in cui ognuno vota in ragione dei millesimi di cui è titolare.

Quel che proprio non riesco a capire è come possa averla votata il PD, che pure l’aveva avversata nelle prime tre votazioni, mentre alla fine si è piegato al ricatto esistenziale del suo partner di governo, che pretendeva la “prova d’amore” per continuare l’attuale matrimonio morganatico.

Un acuto commentatore come Sergio Fabbrini, ha scritto recentemente sul Sole che “la democrazia muore per l’inerzia dei suoi difensori, non solamente per la pericolosità dei suoi nemici”; un’inerzia, aggiungo, che somiglia molto all’ignavia meritevole dell’antinferno dantesco, dedicato a coloro che “visser sanza infamia e sanza lodo”.

Tuttavia, a questo punto, la frittata è fatta, e, mentre chi la trova indigesta proverà a buttarla nella pattumiera della Storia per via referendaria, ove mai le iniziative in corso non avessero seguito, è necessario che questo Parlamento, prima di tirare le cuoia, metta in sicurezza la nostra società pluralista, oggi a rischio come non mai, introducendo subito, prima che sia troppo tardi, alcune riforme coessenziali alla riduzione dei parlamentari, e in particolare:

  • una legge elettorale proporzionale, senza artificiosi sbarramenti e privilegi, sin dal momento della raccolta delle firme per la presentazione delle liste;
  • regolamenti parlamentari adeguati ai nuovi numeri delle due Camere;
  •  limiti severi alla questione di fiducia su alcune materie, cominciando da quella elettorale;
  • rigorosi limiti alla decretazione d’urgenza, tante volte suggeriti alla Corte Costituzionale;
  • divieto di maxiemendamenti che non rispettino almeno il lavoro svolto dalle Commissioni;
  • eliminazione dei contingentamenti che comprimono il dibattito parlamentare.

Si tratta di un auspicio che non potrà trovare ascolto in chi ha fatto del fastidio verso il Parlamento, la sua ragione sociale, considerandolo come un fastidioso intralcio all’esercizio del potere, mentre dovrebbe trovare orecchie attente in chi invece lo considera come il baluardo essenziale della democrazia liberale.

A cominciare dal PD, che dovrebbe dismettere la sua originaria vocazione maggioritaria, lecita quando si tratti di mirare a conquistare il consenso della maggioranza assoluta dei cittadini, ma assai meno quando si provi a trasformare un consenso minoritario in una maggioranza parlamentare attraverso l’artificio di una legge elettorale truffaldina, come quelle che abbiamo sperimentato nella seconda Repubblica.

Dal PD, se proprio non vuole contraddire il rispetto che ostenta per la democrazia liberale, sarebbe lecito attendersi la rinunzia a tenere artificialmente in vita l’attuale rosatellum, come sembra che voglia fare nella speranza di reinventare un bipolarismo peggiore di quello del passato.

Mentre, proprio al PD, dopo la prova d’amore offerta gratuitamente al suo partner di governo, toccherebbe il compito di convincerlo che l’amore va ricambiato, facendo approvare alcune misure compensative necessarie per riequilibrare il pendolo del rapporto tra i poteri dello Stato, ma anche bloccando ogni tentativo di introdurre surrettiziamente ogni vincolo di mandato e l’equiparazione dell’elettorato attivo e passivo tra le due Camere, che renderebbe il Senato un doppione assolutamente inutile ed estraneo al disegno istituzionale dei Costituenti.

Su questa piattaforma non dovrebbe poi mancare la disponibilità dei parlamentari di Italia Viva e dei liberali che ancora resistono in una Forza Italia mestamente avviata verso il tramonto all’ombra dell’assorbente alleato leghista.

In questo modo anche una stupida riforma come questa potrebbe trasformarsi in un’opportunità per la nostra traballante democrazia..

Non credo che ne abbiano voglia o ne siano capaci, ma “spes ultima dea”!

Enzo Palumbo

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